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Palestina

LVC ARNA: Solidarity Statement with the Lebanese people, its farmers, villages and steadfast south

La Via Campesina Arab Region and North Africa (LVC ARNA) condemns the heinous attack carried out by the Zionist occupation against the brotherly Lebanese people on September 23, which led to the martyrdom of 492 Lebanese and the injury of more than 1,650 others. During the third week of September, the Zionist entity launched its terrorist war on Lebanon, in densely-populated urban areas, and on agricultural lands. During two days,(September 17,18th) the Zionist entity had booby-trapped and detonated more than 5000 pagers and communication devices. According to Lebanese ministry of health 37 martyrs and more than 2,931 wounded fell as a result of these terrorist attacks.

Leggi tutto il testo originale qui.

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Palestina

Appello International Land Coalition per la Palestina

In Palestine it’s olive #harvesting season again, and International Land Coalition member, the Palestinian Farmers’ Union (اتحاد جمعيات المزارعين الفلسطينيين – Palestinian Farmers Union) has an urgent call to action:

“The olive #harvest, which is an integral part of Palestinian heritage and the main source of income for more than 100,000 #farmer families, is now under threat due to the increasing violence from settlers, perpetrated under the protection and support of Israeli forces.

In the last year’s harvest, and due to settlers’ violence against farmers, 40% of Palestinian farmers were unable to access their land during the olive season, leading to losses totalling up to $25 million.”

Palestinian Farmers’ Union (PFU) Demands:
  1. Immediate International Protection: We demand the deployment of international teams to protect Palestinian farmers during the olive harvest season. The presence of international observers can help deter attacks and provide safety for farmers facing settler violence.
  2. Accountability for Perpetrators: The international community must pressure the Israeli government to hold settlers and their leaders accountable for crimes committed against Palestinian farmers. Impunity only escalates violence and encourages further violations.
  3. Ban on Settlement Products: We call for an international ban on the entry of settlement products into global markets. These products are cultivated on stolen land and produced through illegal means, requiring a firm stand from the international community.
  4. Protection of Palestinian Agricultural Heritage: The #olivetree is not just an economic source; it is a symbol of the Palestinian people’s #resilience. We urge the international community to work to protect this heritage from destruction and distortion.
  5. Humanitarian and Legal Support for Farmers: We call on international organizations to provide legal and humanitarian support to farmers who are attacked, ensuring their right to safe access to their land.

#united4landrights

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Palestina

Il cibo come elemento identitario e di resistenza

Il cibo è nutrimento, ma è anche un potente veicolo di identità culturale.
Le ricette, i sapori, i rituali alimentari sono strettamente legati alla storia, alla cultura, alle tradizioni e alle radici di un popolo.
E così l’appropriazione del cibo diventa uno degli strumenti in mano all’occupante che voglia appropriarsi dell’identità di un popolo da sottomettere, annientare e cancellare.

L’appropriazione del cibo nel caso specifico del conflitto israelo-palestinese

  • Creazione di una falsa narrazione

Presentando piatti tradizionalmente palestinesi come “israeliani”, si contribuisce a creare una narrazione storica che sminuisce il contributo culturale dei palestinesi ed esalta l’identità israeliana (

  • Sottrazione di un elemento di orgoglio nazionale

Il cibo è un simbolo di orgoglio e resistenza per i palestinesi. Privarli di questo elemento significa indebolire la loro identità e la loro capacità di affermare i propri diritti.

  • Strumento di normalizzazione dell’occupazione

Presentando l’appropriazione del cibo come una forma di “condivisione culturale”, si cerca di normalizzare l’occupazione militare israeliana e di nascondere le disuguaglianze e le ingiustizie che ne derivano.

Come si manifesta l’appropriazione del cibo

  • Ridenominazione dei piatti

Piatti tradizionalmente palestinesi vengono ribattezzati in Israele con nomi ebraici o più generici, cancellandone così le origini. E viene aggiunto al nome originale l’aggettivo “israeliano”.  Quindi non più “falafel” ma “Israeli falafel”, come dire che entri in ristorante a Roma e chiedi “una carbonara all’italiana”… eh che, la volevi portoghese?

  • Commercializzazione del cibo

I piatti palestinesi vengono commercializzati su larga scala, senza riconoscere la loro provenienza e sfruttando il lavoro dei palestinesi e le terre dalle quali sono stati cacciati. Datteri, agrumi, tutto.

La colonizzazione ci ha preso 11 migliaia di miliardi di dollari di proprietà, fra case, terre ecc. Come i Bantu in Sudafrica, che erano dipendenti dall’economia sudafricana perché erano sotto assedio e non potevano produrre e importare il loro cibo, noi ora siamo nella stessa situazione. Israele guadagna 12 miliardi di dollari all’anno tenendo l’economia della Cisgiordania in ostaggio. E questa cifra non tiene conto del saccheggiamento delle risorse naturali: acqua, minerali del Mar Morto, petrolio e gas naturale sulla costa del Mediterraneo, in acque palestinesi. Anche escludendo le terre occupate nel 1948, il gas naturale nel Mediterraneo e nelle acque al largo della striscia di Gaza, che è stata occupata nel 1967.”
(intervista di Mazin Qumsiyeh a Irene Ivanaj qui completa in originale)

  • Utilizzo del cibo nella propaganda

Il cibo viene utilizzato come strumento di propaganda per promuovere un’immagine positiva di Israele e per delegittimare le rivendicazioni palestinesi.

La resistenza palestinese attraverso il cibo

Nonostante questi tentativi di appropriazione, i palestinesi resistono attivamente.

  • La valorizzazione della cucina tradizionale

I palestinesi promuovono e celebrano la loro cucina attraverso libri di ricette, festival del cibo e iniziative online.

  • La creazione di reti di solidarietà

Si creano reti di produttori e consumatori per sostenere l’agricoltura palestinese e garantire l’accesso a prodotti locali.

  • L’utilizzo del cibo come strumento politico

Il cibo diventa un simbolo di resistenza e di lotta per la giustizia sociale.

In conclusione

L’appropriazione del cibo è un aspetto complesso e multiforme. Attraverso un’analisi approfondita di questo fenomeno è possibile comprendere meglio le dinamiche di potere e le strategie utilizzate per annientare l’identità del popolo sottomesso (da una parte) e per mantenere e rafforzare la propria identità (dall’altra).

Leggio qui l’articolo completo originale di Rima Najjar

 

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Attualità Palestina

Sostegno ai contadini palestinesi. Progetto #farmersforfarmers

Pubblichiamo questo appello ricevuto da ARI


Molti palestinesi sono pescatori, allevatori e contadini resistenti. Da decenni salvaguardano con perseveranza i loro sistemi agricoli e di pesca tradizionali, difendendoli dalla costante erosione operata dal governo e dai coloni israeliani, che non a caso sradicano gli ulivi per sradicare un popolo.

Dall’inizio dell’ultima offensiva genocida nella striscia di Gaza, oltre che la popolazione civile, sono colpite sistematicamente le infrastrutture per la pesca, l’irrigazione agricola e quelle igienico sanitarie. I pescatori sono spesso uccisi se cercano di avventurarsi in mare e gli agricoltori si trovano sotto tiro se cercano di recarsi a fare il loro lavoro (anche nella West Bank, non solo a Gaza).

Nella striscia di Gaza l’esercito ha applicato massivamente diserbanti chimici sulle aree coltivate dai palestinesi, distruggendo piante e fertilità del suolo anche per gli anni futuri.

“Se non ci uccideranno le bombe, ci ucciderà la fame.

Come custodi della terra e popolo indigeno, noi sappiamo che ce la faremo. Tutto ciò che chiedono i contadini e i produttori di cibo palestinesi è che sosteniamo questa loro fermezza. Usano il termine sumud, che significa fermezza, perseveranza. Quando visito le nostre comunità domando sempre: avete richieste specifiche per la comunità internazionale?

Mi rispondono: sostenete la nostra perseveranza.”

Questa è la testimonianza che abbiamo ascoltato direttamente da Yasmeen El-Hasan, responsabile advocacy internazionale dell’Unione dei comitati del lavoro agricolo palestinesi (UAWC) ormai alcuni mesi fa, per questo motivo, da contadini, ci siamo chiesti come supportare i contadini e produttori di cibo palestinesi.

Da questa intenzione nasce la campagna di informazione e raccolta fondi “Farmers for Farmers” aperta a tutti i contadini e/o produttori di cibo che vorranno aderire.

Ogni contadino e/o produttore di cibo può aderire pre-acquistando un numero a sua scelta di adesivi “Farmers for Farmers” da applicare sui suoi prodotti. Per ogni prodotto con il logo potrà quindi chiedere ai propri clienti un contributo di 50 centesimi, in sostegno ai contadini e produttori di cibo palestinesi.

I fondi raccolti saranno inviati all’UAWC che li destinerà in particolare alla locale casa dei semi, in un ideale gemellaggio con il Mulino Polleri – Casa delle Sementi – Monastero Bormida.

È stata scelta quest’azione specifica a sostegno dei contadini attraverso la tutela dei semi locali in accordo con UAWC, poiché proprio i semi sono una speranza e una scommessa nel futuro di un popolo”.

https://www.assorurale.it/2024/08/22/sostegno-ai-contadini-palestinesi/

Per info e adesioni scrivete a info@assorurale.it

Sabato 24 Agosto, giorno in cui La Via Campesina invita all’azione a sostegno del popolo palestinese, durante la Festa Contadina @ Maramao  https://www.assorurale.it/2024/07/27/sabato-24-agosto-festa-contadina-maramao/ presenteremo il progetto #farmersforfarmers a sostegno dex contadinx de اتحاد لجان العمل الزراعي (UAWC) pensato con la Casa delle Sementi della Valle Bormida dopo la visita di Yasmeen El-Hasan, responsabile advocacy internazionale dell’Unione dei comitati del lavoro agricolo palestinesi (UAWC).


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Palestina

Un altro appello inutile?

Assistiamo inutili a sofferenze che nemmeno riusciamo a immaginare completamente.

Ci illudiamo che studiare e raccontare le nefandezze passate possa evitarne di nuove.

Gli appelli si sprecano (nel senso che probabilmente non servono) e spesso sono solo anestesia per le nostre coscienze. E tuttavia possono essere un piccolo contributo.

Questo di Rete Italiana Pace e Disarmo ci ricorda tra l’altro alcuni numeri agghiaccianti.
Sembra impossibile poter convivere con tanta disperazione e con la lucida, consapevole ferocia che la sta provocando.


A Gaza muore anche la nostra umanità: fate passare gli aiuti della comunità internazionale

Lettera aperta al Presidente della Repubblica, al Parlamento, al Governo Italiano

La Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU, il 26 gennaio 2024, ha evocato un “rischio plausibile” di genocidio nella striscia di Gaza, ammonendo Israele di adottare concrete misure di prevenzione. In particolare la Corte ha sancito che: “Lo Stato di Israele deve adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura d’urgenza di servizi di base e di assistenza umanitaria”. La guerra di Israele sulla Striscia di Gaza si combatte infatti non solo con le bombe, ma anche con la fame e con la sete violando apertamente il diritto internazionale.

Nella nota diramata da Oxfam pochi giorni fa si denuncia che, attraverso il «taglio delle forniture idriche», la «distruzione sistematica di infrastrutture essenziali» e il «blocco all’ingresso degli aiuti internazionali», Israele avrebbe di fatto «ridotto del 94% la disponibilità d’acqua dentro la Striscia». Ai palestinesi è anche vietato scavare pozzi, mentre Israele è l’unico Stato al mondo in cui l’acqua è controllata dal Ministero della Difesa.

A Gaza il 90% della popolazione è sfollata (circa 1,9 milioni). Circa 40 mila le persone uccise, oltre ai dispersi, il 70% delle vittime sono bambini e donne, con 17.000 bambini che vivono senza uno o entrambi i genitori, con 3.500 bambini a rischio di morte a causa della malnutrizione e della disidratazione. Tutta la popolazione soffre di insicurezza alimentare acuta e 500 mila persone a livello catastrofico. 10.000 sono i malati di cancro che rischiano la morte e necessitano di cure, 3.000 pazienti affetti da varie patologie necessitano di cure all’estero, 1.737.524 sono colpiti da malattie infettive a causa dello sfollamento, 71.338 sono i casi di infezioni da epatite virale dovute a spostamento, circa 60.000 donne incinte sono a rischio a causa della mancanza di assistenza sanitaria, 350.000 pazienti cronici sono a rischio a causa della carenza di medicinali. Ora si sta diffondendo la poliomelite, malattia che nel 10% dei casi causa la morte per paralisi dei muscoli respiratori. (*)

Di fronte a questa situazione assistiamo al blocco degli aiuti umanitari che rimangono per settimane e mesi fuori dalla Striscia impossibilitati dall’esercito israeliano a varcare il valico di Rafah, dove ad oggi sono bloccati 1800 containers, e gli altri valichi di accesso a Gaza. Lo stesso programma del Governo italiano “Food For Gaza”, pianificato senza prevedere alcun coinvolgimento delle Ong italiane che da anni operano a Gaza, si sta dimostrando inefficace proprio perché gli aiuti non arrivano alla popolazione, bloccati anch’essi dalla chiusura ermetica israeliana della Striscia. Quei pochi aiuti che arrivano sono per di più distribuiti in condizioni di totale insicurezza, con centinaia di operatori umanitari uccisi nello svolgimento delle proprie funzioni. In diversi e documentati casi si è deliberatamente colpita la popolazione durante la distribuzione di aiuti alimentari e altri generi di prima necessità.

Ribadendo la necessità e l’urgenza di adottare tutte le azioni politiche e diplomatiche per arrivare ad un cessate il fuoco, alla liberazione di tutti gli ostaggi e dei prigionieri palestinesi detenuti illegalmente, ma soprattutto alla costruzione di una soluzione del conflitto tra Israele e palestinesi, fondata sul diritto internazionale e sulle risoluzioni ONU, non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla tragedia umanitaria che si sta consumando nella Striscia di Gaza con il blocco degli aiuti umanitari per la popolazione affamata, priva di medicine e di cure per feriti ed ammalati.
Ricordiamo che è responsabilità di ogni stato membro delle Nazioni Unite, quindi anche dello Stato italiano, operare in modo attivo affinché sia rispettato il diritto umanitario, la cui reiterata violazione non ha nessuna giustificazione in alcun contesto di guerra, come ha nuovamente riportato il parere della Corte Internazionale di Giustizia lo scorso 19 luglio.
Israele deve garantire il libero accesso e la sicurezza agli operatori umanitari.

Israele deve garantire che ci sia acqua potabile a sufficienza dentro la Striscia, consentire l’ingresso di cibo, prodotti sanitari e beni di prima necessità bloccati al valico di Rafah e consentire l’accesso immediato anche da tutti gli altri valichi.
Israele deve consentire l’evacuazione di malati e feriti che non possono essere assistiti dentro la Striscia di Gaza.
Chiediamo al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Parlamento ed al Governo italiano, di adoperarsi, ognuno per i compiti propri, per l’adempimento delle responsabilità dello Stato Italiano e per una doverosa conseguente azione politica e diplomatica nei confronti del Governo israeliano, affinché sia rispettato il diritto umanitario internazionale e si ponga fine alla disumana ed immorale situazione in cui è costretta la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza.

 

Le Organizzazioni della società civile che vogliono aderire a questa lettera aperta devono compilare questo modulo online

ADESIONI al 3 agosto 2024

Rete Italiana Pace e Disarmo

Abspp odv
Accademia Apuana della Pace
Acli
ACS
Agronomi e Forestali senza Frontiere ODV
AIDOS – Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo
Altromercato
Anpi
Archivio Disarmo
Articolo 11 promotori dì pace
Associazione Centro Gandhi Ivrea
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Associazione di categoria “Warfree liberu dae sa gherra”
Associazione PeaceLink
Associazione Peppino Impastato ETS Cinisi (Pa)
Associazione per il rinnovamento della sinistra
Associazione Percorsi di pace
AssoPacePalestina
Beati i costruttori di pace
Centro “don Lorenzo Milani” di Pistoia
Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (CRED)
Centro Mediterraneo Giorgio La Pira
Centro Pace e Legalità “Sonia Slavik” di Mirano (Venezia)
Centro Pace ecologia e diritti umani
Centro Studi Sereno Regis
centro studi sereno regis, Torino
CFFC ROMA
CGIL
Cidi Torino
cinemAnemico
CIPAX
CISDA Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane
Comitato per la Pace di Terra di Bari
Comunità Islamica del Trentino
Cooperativa sociale Irene ’95
Coordinamento metropolitano associazioni per la Pace Venezia “inMARCIAperlaPACE”
Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
Coordinamento provinciale Capitanata per la pace – Foggia
COSPE
CRIC
Digiuno per la Pace Venezia
Fairwatch
Focsiv ETS
Fondazione Giorgio La Pira
Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace
Fonti di Pace Odv
Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua
Glam commissione globalizzazione ed ambiente
Gruppo “Pax Christi” di Cecina
La Città delle persone
Le veglie contro le morti in mare
Legambiente Versilia APS
Libertà e Giustizia
LMC Bologna
M.I.R.
MAIS ong
Mani rosse antirazziste
ManifestA
Movimento dei Focolari
Movimento Nonviolento
Nuova Camaldoli aps
O.P.A.L. – ETS
Odv Cdat Spinea – Com. dig. Amb. Terr. Spinea
Opera per la Gioventù Giorgio La Pira
Oxfam Italia
Pax Christi Italia Campagna Ponti e non muri
Portico della Pace Bologna
PX Christi Italia
Refugees Welcome Italia Napoli
Rete NoBavaglio
Rete per la pace – Riviera del Brenta
Sbilanciamoci
Scuola di Pace “Vincenzo Buccelletti” del Comune di Senigallia
Terre des Hommes Italia
Un Ponte Per
Un’altra idea di mondo

 

(*) https://www.ochaopt.org/content/reported-impact-snapshot-gaza-strip-24-july-2024

 

Nella foto: Distribuzione di acqua potabile nell’ambito della campagna Acqua per Gaza di Un Ponte Per

 

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Palestina

Sovranità Alimentare in Palestina: è ancora possibile?

Genocido, accesso alla terra e al mare, diritto al cibo.
Se ne parla Sophia Wathne Venerdì 19 luglio alle 18:30 in Piazza Tasso a Firenze.

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E se pagassimo il giusto prezzo per il cibo? che paura!

Valore di scambio, costi ambientali, responsabilità sociale e cose simili.

Penny Market (discount del gruppo tedesco REWE da 80 miliardi di euro di fatturato) nel 2023 fa un esperimento interessante: propone ai clienti di pagare per 1 settimana alcuni prodotti al loro “prezzo reale” includendo anche i “costi ambientali” e spiegando il calcolo.

Non meraviglia che gli incrementi proposti fossero altissimi rispetto al “normale” prezzo da discount.

Per una settimana Penny offre la scelta ai clienti: vuoi pagare il solito prezzo più basso possibile, o vuoi pagare di più facendoti carico anche dei “costi ambientali”?

Speriamo che i consumatori si siano almeno accorti che i prodotti bio e vegetali avevano incrementi minori, grazie alla stima del loro minor impatto ambientale (tutti produtti industriali, beninteso).

In ogni caso la maggior parte di consumatori ha scelto il prezzo basso.
E chi ha deciso di pagare di più si è sacrificato solo per 1 settimana, tornando subito dopo consapevolmente a pagare il minimo possibile in barba a Clima, Suolo, Acqua, Salute…

Per maggiori dettagli leggi qui.

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No-OGM

OGM, risaie, sabotaggi e principio di precauzione

I nuovi OGM sono parte del problema, l’agroecologia è la soluzione.

La notte tra il 20 e il 21 giugno il campo sperimentale di riso geneticamente modificato, impiantato dall’Università Statale di Milano e situato in provincia di Pavia, è stato colpito da un atto di sabotaggio e danneggiato.

Ne è seguita una sequela di prese di posizione dai toni particolarmente accesi con richiami all’oscurantismo, al vandalismo, all’ecoterrorismo, alla natura antiscientifica del gesto.

Purtroppo, i mezzi di informazione stanno contribuendo a generare molta confusione, mettendo in ombra sotto questa nube di reazioni scomposte le ragioni di chi da anni porta avanti la battaglia contro la diffusione dei nuovi OGM, che in Italia, per essere resi più digeribili all’opinione pubblica, vengono chiamati con il nome tanto accattivante quanto mistificatorio di TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita).

Proviamo a dire due cose anche noi che siano un po’ fuori dal coro.

Innanzitutto, è necessario squarciare il velo di ignoranza su cosa siano questi Tea. Diciamo in primis che si tratta dell’ultimo espediente del sistema capitalistico contemporaneo per tentare di risolvere problemi di ordine sociale ed ecologico con una soluzione tecnica.

Si dice, infatti, che i Tea risolveranno il problema della fame del mondo; che saranno un grande aiuto, assieme alla digitalizzazione delle campagne, per un settore in difficoltà come quello agricolo; che contribuiranno a rendere le colture più resistenti ai cambiamenti climatici, alle fitopatologie e alle conseguenze della crisi ecologica; che, in fondo, sono semplicemente un sistema per velocizzare quelle selezioni varietali che da sempre hanno fatto i contadini.

Innovazione, ci dicono, ci vuole innovazione.

Eppure, a noi sembra che in tutto questo ci sia in atto una volontà politica di nascondere sotto il tappeto i veri problemi della gestione alimentare contemporanea. Questo è il vero oscurantismo con cui dobbiamo fare i conti.

Siamo immersi in un sistema alimentare che spreca e trasforma in rifiuti un terzo dei prodotti, tra logistica, stoccaggio e distribuzione. Che utilizza il 60% delle terre arabili per produrre mangimi per gli allevamenti intensivi o biodiesel. In cui la grande distribuzione di fatto ruba i due terzi del valore di un prodotto al contadino.

È un sistema che per produrre utilizza enormi quantità di energia fossile e materie prime (si pensi alla folle corsa alle terre rare per sostenere il processo di digitalizzazione); che si basa su investimenti senza discernimento in forme di ricerca e sviluppo che, anziché migliorare le condizioni di vita degli agricoltori aumentano la loro dipendenza verso le grandi corporations che controllano e fanno profitti sui mezzi tecnici della produzione (sementi, tecnologie, ecc.). Basta pensare a come gli OGM di vecchia generazione, quelli transgenici, in giro per il mondo hanno legato strettamente l’attività degli agricoltori a quella di Monsanto e delle altre grandi industrie chimiche e sementiere.

Tutto ciò sta dentro una visione di campagna senza contadini, in cui il ruolo e il potere dei produttori è sempre più marginale e la produzione sempre più subalterna agli interessi delle multinazionali. Le stesse aziende che controllano gli input tecnologici promuovono un’idea di campagna sempre più automatizzata e robotizzata, nella quale gli agricoltori rischiano di diventare una variabile dipendente dalla tecnologia, se non addirittura in alcuni casi di scomparire.

Si tratta evidentemente di enormi squilibri che possono essere risolti solo con una profonda e radicale trasformazione in senso agroecologico dei sistemi alimentari. Un taglia e cuci molecolare, come quello su cui si basano i TEA, di certo non può costituire la panacea di tutti i mali; al contrario, all’interno dell’attuale struttura industriale dei sistemi alimentari rischia di rafforzare le posizioni di potere di chi controlla queste tecnologie ed è in grado di brevettare i propri prodotti.

Le nuove tecniche sembrano così rappresentare, più che una transizione ad un sistema sostenibile, un disperato tentativo di rilanciare il modello agroindustriale aggirandone i principali limiti e senza intaccare i paradigmi produttivo e scientifico di riferimento.

Tante sono le incognite con cui ci dobbiamo confrontare in questa fase politica convulsa. Quello che sappiamo è che in tale confusione ogni atto di resistenza che squarci il velo di ipocrisia su questi temi va a vantaggio dell’agricoltura contadina e dell’azione di chi vuole rimettere al centro del dibattito il cibo sano e non il profitto.

Per maggiori informazioni rimandiamo al libro di Stefano Mori e Francesco Paniè, “Perché fermare i nuovi OGM”, 2024, Terra Nuova Edizioni

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Archivio Report GdL

Qui trovi l’archivio dei report delle riunioni dei Gruppi di Lavoro dal 15 Giugno 2024

  • CONOSCENZA-FORMAZIONE
  • CONGRESSO CONTADINO
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  • NO-OGM
  • FACILITAZIONE
  • AMMINISTRAZIONE
  • CONNETTIVO
  • POLITICHE
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L’Italia è un paese schiavista

Anche l’Italia è un paese schiavista.

Paghiamo poco il cibo di cui ci nutriamo, troppo poco: questo è possibile grazie allo sfruttamento dell’ambiebte e di persone che vengono pagate troppo poco.

Lo sfruttamento è possibile perché a queste persone neghiamo: il permesso di vivere in Italia, un contratto di lavoro, un alloggio, un trasporto al luogo di lavoro.

Tutti noi permettiamo lo schiavismo ogni volta che acquistiamo prodotti a prezzi troppo bassi.
Che sia perché ci sentiamo più furbi o perché non ci possiamo permettere altro, in ogni caso siamo complici.

Dovremmo riflettere ogni volta che facciamo la spesa, non soltanto quando qualcuno muore sul lavoro.
E dovremmo agire di conseguenza.